Recensione

Mistiche Ribelli: un viaggio sonoro che attraversa l’anima e le epoche

C’è una musica che non chiede di essere ascoltata: chiede di essere attraversata. Mistiche Ribelli, l’ultimo progetto firmato da Pierangelo Pandiscia con Gino Ape e l’Ensemble Enten Hitti, si muove in quella zona rarefatta dove il suono diventa rito, e il rito sussurra una ribellione silenziosa ma profonda.

È un lavoro che sembra affiorare dalle fenditure del tempo, come un manoscritto ritrovato, che vibra di memorie sufi, essene, tibetane, cristiane e occitane – senza mai cristallizzarsi in una tradizione, ma evocandole tutte come presenze vive. Chi conosce Pandiscia e Ape sa che siamo ben lontani dalla new age di superficie o dalla world music patinata da festival: qui si respira qualcosa di più antico, una ricerca radicale, che parte dal suono per lambire il sacro. Non quello istituzionale, ma quello intimo, interiore, che si nasconde “oltre i nostri demoni e le nostre ombre”, come dichiarano le note del progetto.

L’album, pubblicato da Lizard Records, è costruito su una scrittura prevalentemente modale, ciclica, mai minimalista ma minimale, nel senso più colto e consapevole del termine. I temi si ripetono come mantra – parola chiave che ritorna anche nei titoli – ma ad ogni ciclo si arricchiscono di sfumature: una variazione di timbro, una dissonanza quasi impercettibile, un fraseggio che si spezza nel tempo giusto. Il suono del duduk, le percussioni rituali, le conchiglie tromba, il santoor, la voce narrante… ogni elemento è dosato con una cura alchemica.

Tra le tracce, spiccano Our Needs of Consolation – impreziosita dalla voce di Dorothy Moscowitz Falaski – e Evren Mantra, scritta a sei mani con Theo Allegretti, che apre squarci meditativi su paesaggi interiori. Ma è in Carne della stessa carne e L’uomo di Dio che si percepisce forse con maggiore nitidezza lo spirito di “ribellione mistica”: un suono che è protesta contro la banalità del presente, e che riscrive il sacro come esperienza umana e sensuale.

A impreziosire il disco, un cast di ospiti che non fa mai da semplice ornamento, ma che entra in simbiosi con l’organismo musicale: dalla viola di Vincenzo Zitello alla voce narrante di Ilaria Drago, ogni intervento è calibrato come un elemento di un mandala sonoro.

Mistiche Ribelli non è un album da mettere in sottofondo. È un invito all’ascolto profondo, a un’immersione che chiede tempo, attenzione, silenzio. E forse anche un po’ di coraggio. Ma chi accetta l’invito, si ritroverà attraversato da qualcosa che somiglia a una rivelazione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *