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Un film che offre arte e una prospettiva nuova del cinema – La recensione

Come vi abbiamo già raccontato, si è svolta ieri alla Casa del Cinema di Roma la mostra e la proiezione di Volare con le pinne. E, oltre al reportage della serata, vorremmo offrire anche una nostra lettura di questo documentario intenso e profondo che, qualcuno in sala, ha voluto correttamente definire un poema cinematografico. Volare con le pinne, infatti, è il perfetto esempio di cosa sia un approccio metacinematografico, e di come esso possa essere utilizzato anche nella forma del documentario. Il film racconta la vita del noto artista Alzek Misheff, e lo fa con un sovrapporsi di espressioni artistiche. Maria Averina, la regista del documentario, usa il cinema per mostrare al pubblico l’arte di Misheff, attraverso un vero e proprio atto creativo.

Il film è un racconto della vita più intima dell’artista, una rappresentazione di come spesso l’arte sia una vera e propria ‘necessità’ che deve diventare parte della vita, se si vuole creare qualcosa di straordinario. 

Osservando il film si nota fin da subito come Averina operi una rielaborazione della vita dell’artista, grazie al materiale d’archivio e alle testimonianze di tante persone che hanno deciso di collaborare a questo documentario. Il risultato finale è un film su Misheff che dialoga con Misheff stesso, in un continuo alternarsi di rimandi e risonanze.

Un altro aspetto che emerge in modo prorompente è la relazione che lo stesso Misheff ha con sua moglie; la sua compagna di vita, la donna che lo ha accompagnato in ogni tratto di vita, che è stata la sua migliore amica, la sua confidente, la sua complice. 

Perché si può parlare di approccio metacinematografico? Questo è forse il punto che più mi ha colpito durante la proiezione. L’arte di Misheff diventa parte integrante della narrazione del documentario, prendendosi il ruolo da protagonista. In ciò si nota l’abilità di Averina, che ha saputo equilibrare arte e narrazione, senza che nessuna delle due parti sovrasti l’altra. Ciò porta a una notevole fluidità, che consente di passare da una sequenza all’altra senza bruschi tagli. La vivacità delle opere di Misheff si trasforma così in un elemento chiave dello stesso documentario.

Forse la parola più adatta per definire Volare con le pinne è “immersione”. Istante dopo istante si vive una esperienza visiva, dove l’emozione e la meraviglia sono messe al primo posto. Il racconto mantiene la sua importanza, ma non è l’unico ad accompagnare gli spettatori. Anche in questo si può riconoscere un sapiente gioco di equilibri, dove niente è stato lasciato al caso. Averina ha analizzato il lavoro di Misheff e lo ha fatto suo, trasfigurandolo nel cinema. Volare con le pinne è al tempo stesso sia un omaggio, sia un documentario che, su più livelli, riesce a trasporre in una nuova dimensione il lavoro a cui l’artista si è dedicato per decenni.

Ho apprezzato come non siano state prese decisioni facili e che avrebbero strizzato l’occhio allo spettatore, come quando assistiamo al commovente ritorno di Misheff in Bulgaria. Anche in questo caso Averina ha mostrato non solo tanto talento, ma anche una delicatezza unica. Il rispetto è evidente, così come la stima che lega la regista all’artista.

In questa recensione ho parlato spesso del cinema, ancor più che dell’arte che racconta il documentario. Per me è inevitabile, perché è il film stesso a offrire un punto di vista nuovo per chi vuole affrontare una reale riflessione su cosa sia il cinema, e su come possa dialogare con altre forme d’arte. L’arte di Misheff con il cinema acquisisce una nuova vita, un dinamismo inedito che porta il suo lavoro su un piano differente, ma ugualmente pregevole. Il documentario mostra cosa significa “evoluzione” nel suo significato più profondo.

In conclusione direi che Volare con le pinne è un documentario più che riuscito, che abbandona la dimensione della semplice “celebrazione”, superando ogni confine in favore di una creatività senza limiti, che è ciò che ha reso Alzek Misheff uno degli artisti più importanti della contemporaneità.

Irene Santopadre

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